...... confessioni di una (de)mente pericolosa.............

sabato 7 marzo 2009

Un'emozione da poco

Oggi stavo ravanando tra la mia roba cercando (inutilmente) di metter ordine quando mi son saltati in mano dei vecchi 45 giri in vinile evidentemente sfuggiti alla furia iconoclasta che prende mia madre ogni volta che tira aria di pulizie.
Mi sono capitati in mano un 45 giri di Mina che contiene “Se telefonando” ed uno dei Dik-Dik con “Viaggio di un poeta”. Li avevo ereditati dalla mia povera zia insieme ad altri dischi che han fatto (grazie mamma!) come si suol dire “la fine di Matteotti”.
E mi è balenato in testa il giorno in cui sono andata a comprare il mio primo 45 giri, acquistato col frutto dei miei sudati risparmi.
I miei non son mai stati ricchi e, per quanto non mi abbiano mai fatto mancare nulla, c’era comunque un limite ben preciso ai vizi e sollazzi che mi concedevano. Così, m’arrangiavo.
Piccoli delinquenti crescono. Ehm....
Me lo ricordo come se fosse ieri, per comprare i dischi bisognava andare dal Giusto.
Il negozio del Giusto era ufficialmente una rivendita di elettrodomestici, in realtà si trattava di una sorta di bazar piuttosto lurido in cui potevi trovare tutto ed il contrario di tutto, dall’ultimo modello di scopa elettrica alle carte per lo scopone scientifico al cavatappi in pelle d'ornitorinco.
L’ingresso al negozio era una sorta di esperienza mistica: come aprivi la porta partiva un cinguettio stereofonico (tipo passero di trenta chili sopra ad un ramo) ad un volume talmente alto da farti rimanere sordo per un buoni dieci minuti, tempo che serviva all’omino per emergere dal retrobottega e tentare d’appiopparti l’ultimo modello di lavatrice a manovella approfittando della tua temporanea infermità mentale da cinguettio.
Comunque sia, in mezzo a tutto questo caravanserraglio di roba sparsa, il buon Giusto teneva anche i dischi ed eccolo lì sul bancone, appena arrivato ed ancora imballato, il pacco contenente l’agognatissimo 45 giri “Solo tu” dei Matia Bazar.
Correva l’anno 1977.
Te lo metteva in una busta di carta velina rosa a fiorazzi con il bordo accuratamente ripiegato e fermato con lo scotch. E tu te ne tornavi a casa alleggerita di millecinquecentolire tentando disperatamente di nascondere l’orrida carta portando il tutto sottobraccio con ostentata nonchalance.
Io, il rosa ed i fiorellini non andavamo d’accordo neppure allora.
Arrivavo a casa di corsa, trafelata e tiravo fuori il giradischi.
Che era qualcosa di inumano.
Una sorta di cassettone grigio e beige a mò di valigia con un piattone di quelli mega adatto per far girare i leggendari 78 giri.
Tu scartavi con cura il disco, ne ammiravi per un attimo la copertina, lo sfilavi, lo posavi sul piatto e con mano tremante per l’emozione agguantavi il braccetto e tiravi giù la puntina sul disco badando di metterla appena quel pelo più in qua del bordo.
Per qualche secondo sentivi solo il fruscio sommesso della puntina che passava sulla superficie del vinile e poi, finalmente, partiva il brano con gli altoparlanti che smettevano di gracchiare solo dopo aver assestato loro un bel colpetto con la mano aperta.
Miracoli tecnologici dei favolosi ’70.
Penso di aver sfinito i miei genitori con l’ascolto continuo ed ossessivo di quella canzone, ma, dato che il destino è cinico e baro, son stata ripagata con gli interessi qualche anno più tardi per mano di mia sorella che, essendo moooolto più giovane di me, mi ha intrattenuta amabilmente per intere giornate facendomi ascoltare “Dolce Remì” in loop.
Chi la fa, l’aspetti, dicono.
Il mio primo 33 giri in assoluto fu “The Kick Inside” della disturbante ed iconica Kate Bush (che non so perché, ma mi ricorda parecchio Jenny Schecter di The L Word), il cui singolo di punta “Wuthering Heights” rimane a tutt’oggi uno dei miei brani preferiti di sempre.
Mio padre preferisce invece la track “Babooshka” da “Never for Ever” dice lui: “per via dello spadone e dello specchio che esplode”.
Ai tempi deve aver visto il video a Discoring.
Divagando come è mio costume, ho scoperto abbastanza recentemente che la splendida “Viaggio di un poeta” è stata scritta a quattro mani da Maurizio Vandelli dell’Equipe 84 e da indovinate un po’? Riccardo Zara.
Si, si proprio il fondatore dei “Cavalieri del Re”, responsabile di un altro tormentone canoro che invase a tradimento la mia vita nei primissimi anni ottanta.
Come? Il nome non vi dice nulla?
Beh, figlioli, vedere alla voce anime immortali: “Lady Oscar – Versailles No Bara”.
Ma, a quest’immaginifica donna di carta ed inchiostro che ha saputo occupare i miei pensieri stabilmente e subdolamente per quasi un venticinquennio, dovrò prima o poi dedicare un post apposito.
Ora, considerato che l’intenzione era quella di cucire un intervento sulle ultime malefatte della chiesa brasiliana e che son finita a parlare di Kate Bush e Lady Oscar, mi appare sempre più evidente di come io abbia un disperato bisogno di un po’ di riposo.

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